Caro Augias,
la lettera indirizzatale dai
famigliari dei carabinieri e degli agenti della Polizia di Stato
barbaramente uccisi dalle Brigate Rosse a via Fani, nel corso del
brutale rapimento dell’on. Moro, mi trova pienamente concorde.
Anche nel mio messaggio di fine anno volli esprimere un chiaro
richiamo al rispetto della memoria delle vittime del terrorismo e
dunque al rispetto - in tutte le sedi - del dolore dei loro
famigliari. Rinnovo perciò il mio fermo appello perché di ciò si
tenga conto anche sul piano dell’informazione e della
comunicazione televisiva. Il legittimo reinserimento nella società
di quei colpevoli di atti di terrorismo che abbiano regolato i
loro conti con la giustizia dovrebbe tradursi in esplicito
riconoscimento della ingiustificabile natura criminale
dell’attacco terroristico allo Stato e ai suoi rappresentanti e
servitori e dovrebbe essere accompagnato da comportamenti pubblici
ispirati alla massima discrezione e misura. Cordialmente.
Giorgio Napolitano
Questa lettera del Presidente
Napolitano, che ringrazio, riprende una richiesta avanzata dai
familiari degli agenti e dei carabinieri assassinati in via Fani a
Roma quando, nel 1978, l’onorevole Aldo Moro venne rapito dalle Br.
I congiunti delle vittime chiedevano che si usasse maggior
riguardo nell’intervistare ex brigatisti tenendo in considerazione
le ferite riaperte ad ogni loro apparizione in Tv, magari in
un’atmosfera distesamente colloquiale, dimentica delle tragedie di
allora.
Credo che il punto di vista
espresso dal presidente della Repubblica rispecchi i sentimenti
della stragrande maggioranza degli italiani e mi pare di poterlo
racchiudere nelle ultime parole del suo messaggio sulle quali tra
poco tornerò. La lettera dei congiunti delle vittime, pubblicata
nella mia rubrica venerdì scorso, denunciava in particolare
l’insensibilità di una testata telegiornalistica che aveva
intervistato l’ex brigatista Alberto Franceschini (fondatore nel
1970 con Renato Curcio del gruppo terroristico) nel luogo stesso
dell’eccidio, luogo di “memoria storica” per la Nazione. A quella
lettera hanno fatto seguito varie reazioni.
Mi ha colpito l’autocritica del
direttore di Studio Aperto, Mario Giordano, che ha ammesso di non
aver pensato alle conseguenze emotive che l’intervista avrebbe
potuto provocare. Sbagliamo tutti, ammetterlo è segno di onesto
coraggio. A meno che non mi sia sfuggito non mi pare invece che
Claudio Martelli, conduttore del programma, abbia commentato. Il
Tg1 diretto da Gianni Riotta ha intervistato Maria Ricci, vedova
dell’appuntato Domenico. Da altre parti le reazioni sono state
diverse, alcuni hanno obiettato che anche a chi si è macchiato di
un delitto non si può continuare a chiedere continui atti di
pentimento, una volta che abbia scontato la pena. È un’obiezione
che risponde più che alle critiche alla loro caricatura. Nessuno
chiede di continuare a battersi il petto per tutta la vita. Le
pene comminate sono state severe e solo l’età dei colpevoli
all’epoca dei fatti rende possibile che alcuni di loro dopo
decenni di carcere escano in età ancora relativamente giovane.
Stiamo parlando di persone che hanno militato nelle Brigate Rosse,
o in altri gruppi terroristici che predicavano e praticavano la
lotta armata, seminando dolore e provocando lutti, accecati dai
loro inutili fantasmi, e non sempre hanno espresso rammarico o
hanno condannato quegli atti nefandi. Certo, anche loro hanno
diritto a reinserirsi nella società, anzi è doveroso che vengano
aiutati, se davvero crediamo, in senso religioso o civile, alla
redenzione. Tra il reinserimento e il salire in cattedra a fare
lezione, o a diventare piccole star, o esperti da dibattito
televisivo però ce ne corre. Tanto più che alla asimmetria di
allora, assassini contro vittime, fa da specchio la asimmetria di
oggi: piccoli divi contro familiari dimenticati nel loro oscuro
dolore. Qui vengono le parole del Presidente che raccomanda.
“Comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e
misura”. Questo davvero sembra di poterlo esigere da tutti.
Corrado Augias |